home raccolta supplementi
[ coppie e paia ]
Dunque?… Un paio di scarpe da considerare, badate bene: “senza teorie filosofiche[1]...  Siamo intesi?
Farsi una idea chiara sulla disputa delle scarpe seguendo i tallonamenti di Derrida equivale a rimanere proprio un impressionista davanti ad un panorama discorsivo troppo stringente e calzante; dove tutto ciò che è in gioco viene messo a fuoco.
Dove, già che si è in gioco, si fanno anche dei giochi di parole prendendole al laccio delle scarpe fin dal titolo: “Restituzioni della verità in pointure” (dove la verità in pointure è il numero di misura per guanti o scarpe
[2] - mentre la “verità in peinture” sarebbe quella promessa da Cézanne e da van Gogh).
Anche Heidegger e Schapiro - dice Derida - promettono la verità:
Hanno tutti e due interesse a identificare il soggetto (portatore o portato) di queste scarpe, ad allacciare, a riallacciare strictu sensu, nel loro buon senso, questi oggetti che non possono farlo, ma – ad identificare e a riappropriar(si), per farne uso a loro volta, di questo strano (sic!) oggetto fuori uso, prodotto produttore di tanto plusvalore supplementare. Essi sono d’accordo, è questo il tacito patto che si istituisce, a cercare un soggetto o a far finta di cercarne uno, dato che tutti e due sono in precedenza sicuri di averlo già trovato.[3]
Quand le boeuf vant deux á deux
Le labourage en va meieux
[4]

Senza riconoscere all’esercizio della parresia [5] di avere e/o stabilire un qualche rapporto con la verità (specialmente con la verità in astratto, che non esiste più di quanto possano esistere delle scarpe in astratto) nondimeno esser franchi è un dovere.
E io devo riconoscere che la sostanza della disputa non riguarda poi tanto la verità su quelle particolari scarpe di quel particolare quadro, quanto la spinosa e sottile questione de “la verità in pittura”. Quella verità promessa da Cézanne (“Io vi devo la verità in pittura, e ve la dirò”
[6]), come quella verità che sta tanto a cuore a van Gogh da fargli dire che, per “cercare di rendere il vero” lui preferisce essere un calzolaio con i colori piuttosto che un musicista.[7]
Un vi devo e un rendere che ne farebbe due pittori indebitati di verità?
Cosa pensare di coloro che si ritengono personalmente in credito solo perché dei pittori hanno riconosciuto (incautamente?) un proprio obbligo nei confronti della pittura?
Cosa fa di qualcuno un debitore e cosa di qualcun altro un creditore?
Per quale fatto e in quale valuta se ne pretende l’estinzione?
La “pittura” sarebbe forse vissuta a credito del “discorso”… o  piuttosto è il contrario?
Lascerei volentieri scadere queste domande se i creditori (esosi spiriti assetati anche loro di verità in contanti) invece di definire la precisa natura di questa verità (promessa e dovuta) dalla pittura, non avessero favorito l’impressione di essersi dati da fare piuttosto nel contendere attorno al proprietario di scarpe (reali e dipinte), e disquisire inoltre se trattasi di “un paio” o di due scarpe spaiate  - che le manderebbe fuor d’uso, come per l’autoritratto di un buono a nulla

- Bisogna ad ogni costo assegnargli il numero esatto - dice Derrida.
- Fissargli la taglia – dico io.

[1] - Heidegger, Origine Ni68, p. 18.
[2] - “Pointure”, termine di calzolaio francese: Numero dei punti di misura di una scarpa o di un guanto.
[3] - Derrida, Restituzioni,  cit. p. 269.
[4] - Adagio popolare francese citato da Marx in La sacra famiglia, Editori Riuniti, II ed. Roma 1972.
[5] - Una definizione di parresia (da Foucault) in Materiali, infra p. 149. Brevemente, la  parresia è un dire la verità anche a rischio della vita e della sicurezza. Van Gogh, ad esempio e per restare in argomento, pur di dire la verità (della pittura) sulle cose non esita a mettere a rischio la propria vita fino a perderla. Vi chiederete però dov’è, in tutta questa faccenda, il mio rischio da parresiasta. Per voi non è nulla il ridicolo delle ortiche per queste pagine e per la mia persona?
[6] - Cézanne a Bernard - lettera del 23 ottobre 1905 (riportata da Derrida come suo proprio debito nei confronti di Damisch che gliela aveva segnalata; con ciò si fa il paio con il ruolo avuto da Goldstein per Schapiro). Allora forse questo è il momento giusto per pagare anche un mio personale debito di ringraziamento nei confronti dell’amica Rita Pacifici, che per prima mi ha procurata l’edizione Nuova Italia del testo di Heidegger sull’Origine, da me inutilmente cercato in seguito alla lettura di Restituzioni. 
[7] - Davanti al quadro delle scarpe di van Gogh al filosofo si palesa la contadina e il suo mondo; davanti ai propri quadri a van Gogh si palesa il ciabattino!
“…Mi sta tanto a cuore la verità e il cercare di rendere il vero anche, che credo insomma, credo di preferire di essere un calzolaio piuttosto che un musicista, con i colori…” [Vincent a Theo, Saint-Rémy 12 febbraio 1890 (n. 854-626). In questa stessa lettera per due volte Vincent si paragona ad un calzolaio. Vedi sotto in Materiali]. - “In tutta sincerità lei fa una pittura da pazzo!”, avrebbe detto Cézanne a van Gogh (riportato da Bernard in una lettera a sua madre del 1908).
1955
In alto: una sequenza dal film The Trouble with Harry (La congiura degli innocenti), di Alfred Hitchcock, 1955.,






MATERIALI (alle note del paragrafo)
Nota 5 - “La parresia è un’attività verbale in cui un parlante esprime la propria relazione personale con la verità, e rischia la propria vita perché riconosce che dire la verità è un dovere per aiutare altre persone (o sé stesso) a vivere meglio. Nella parresia il parlante fa uso della sua libertà, e sceglie il parlar franco invece della persuasione, la verità invece della falsità o del silenzio, il rischio di morire invece della vita e della sicurezza, la critica invece dell’adulazione, e il dovere morale invece del proprio tornaconto o dell’apatia morale. Questo, in linea generale, è il significato positivo della parola parresia nella maggior parte dei testi greci in cui essa ricorre, dal V secolo a.C. al V secolo d.C.” [Michel Foucault, Discorso e verità, ed. Donzelli, Roma 1996,2005, p.9-10].Nota 7 - “Quando sono venuto a Parigi, pochi giorni fa, vi ho detto che prima di avere duecento dipinti non potevo fare nulla. Quello che ad alcuni sembrerebbe un lavorare di fretta è lo stato normale di una produzione regolare, considerando che un pittore deve lavorare veramente tanto quanto un calzolaio, per esempio.” [Vincent a Theo, Saint-Rémy 12 febbraio 1890 (n. 854-626)]
VALIGIE
parte seconda H.D.S. MAROQUINERIES